INDIVIDUAZIONE DEL PREPOSTO SICUREZZA: LE NOVITÀ DEL D.L. 146/2021 E LEGGE DI CONVERSIONE 215/2021

Una delle principali modifiche operate dal recente decreto-legge 21 ottobre 2021, n. 146 e dalla Legge 17 dicembre 2021, n. 215, di conversione del DL, riguarda il ruolo del preposto.

Ricordiamo che il preposto è la persona che, in ragione delle competenze professionali e nei limiti dei poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell’incarico conferitogli, sovrintende alla attività lavorativa e garantisce l’attuazione delle direttive ricevute controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale potere di iniziativa (art 2 del D.Lgs. 81/2008).

Si denota la nuova esplicitazione formale, con riferimento all’art 18 TUSL rubricato “Obblighi del datore di lavoro e del dirigente” di (punto b-bis) individuare il preposto o i preposti per l’effettuazione delle attività di vigilanza di cui all’articolo 19. I contratti e gli accordi collettivi di lavoro possono stabilire l’emolumento spettante al preposto per lo svolgimento delle attività di cui al precedente periodo. Il preposto non può subire pregiudizio alcuno a causa dello svolgimento della propria attività.

Si indicano poi le novità dell’art 19 TUSL rubricato “Obblighi del preposto“:

  • a) sovrintendere e vigilare sulla osservanza da parte dei singoli lavoratori dei loro obblighi di legge, nonché delle disposizioni aziendali in materia di salute e sicurezza sul lavoro e di uso dei mezzi di protezione collettivi e dei dispositivi di protezione individuale messi a loro disposizione e, in caso di rilevazione di non conformità comportamentali in ordine alle disposizioni e istruzioni impartite dal datore di lavoro e dirigenti ai fini della protezione collettiva e individuale, intervenire per modificare il comportamento non conforme fornendo le necessarie indicazioni di sicurezza. In caso di mancata attuazione delle disposizioni impartite o di persistenza della inosservanza, interrompere l’attività del lavoratore e informare i superiori diretti.
  • f-bis) in caso di rilevazione di deficienze dei mezzi e delle attrezzature di lavoro e di ogni condizione di pericolo rilevata durante la vigilanza, se necessario, interrompere temporaneamente l’attività e, comunque, segnalare tempestivamente al datore di lavoro e al dirigente le non conformità rilevate.

 Senza dimenticare le novità dell’art. 37 rubricato Formazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti:

7-ter. Per assicurare l’adeguatezza e la specificità della formazione nonché l’aggiornamento periodico dei preposti ai sensi del comma 7, le relative attività formative devono essere svolte interamente con modalità in presenza e devono essere ripetute, con cadenza almeno biennale e comunque ogni qualvolta ciò sia reso necessario in ragione dell’evoluzione dei rischi o all’insorgenza di nuovi rischi.

Veniamo all’atto di individuazione del preposto che può riguardare:

  1. “Individuazione del dipendente con incarico di Preposto secondo quanto previsto dal Decreto Legislativo n° 81 del 9 aprile 2008e successive modifiche ed integrazioni in materia di igiene e di sicurezza nei luoghi di lavoro.
  2. Individuazione del dipendente con incarico di Preposto secondo quanto previsto dal Decreto Legislativo n°81 del 9 aprile 2008 e successive modifiche ed integrazioni in materia di igiene e di sicurezza nei luoghi di lavoro nonché Decreto del Presidente della Repubblica 14 settembre 2011, n. 177, regolamento recante norme per la qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi operanti in ambienti sospetti di inquinamento o confinanti, a norma dell’articolo 6, comma 8, lettera g), del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 e successive modifiche ed integrazioni”.

 Nel documento, che ricorda la definizione, gli obblighi e le sanzioni per il preposto, si indicherà che, rivolto al sottoscrittore dell’atto, “con la presente La informiamo che, secondo quanto definito dal D.Lgs. N° 81 del 9 aprile 2008 e s.m.i, la sottoscrizione di codesto atto Le comporta l’acquisizione di specifici obblighi e l’assoggettamento a stabilite sanzioni in caso di mancato adempimento degli impegni assunti”.

(Estratto da Puntosicuro)

Allego facsimile (Vega Engeenering) per la nomina redatta recependo tali modifiche (in giallo il passaggio sull’eventuale emolumento che però ad oggi non è stato ancora stabilito) e FAQ (AIFOS) per eventuali domande che dovessero sorgere.

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Obbligo super green pass lavoratori over 50 dal 15/02/2022

Dal 15 febbraio tutti i lavoratori over 50, indipendentemente dal settore in cui operano e dalla tipologia di attività che svolgono, dovranno possedere il super green pass per accedere al proprio luogo di lavoro.

Non sarà più sufficiente per poter espletare il proprio lavoro, quindi, il tampone, molecolare o antigenico che sia.

Pertanto chi non possiederà il super green pass o ne risulterà privo al momento dell’accesso ai luoghi di lavoro, dal 15 febbraio, verrà considerato assente ingiustificato.

Palazzo Chigi ha chiarito che è d’obbligo vaccinarsi entro il primo febbraio; la dead line è stata stabilita partendo dal presupposto che devono trascorrere almeno 15 giorni dal momento in cui è stata somministrata la prima dose per immunizzarsi.

I lavoratori privi di super green pass, dopo cinque giorni di assenza ingiustificata, potranno essere sospesi per un periodo non superiore a dieci giorni lavorativi, rinnovabili fino al 31 marzo 2022, senza retribuzione e, secondo il rinnovato articolo 4 – quinquies, “per la durata corrispondente a quella del contratto di lavoro stipulato” potranno essere sostituiti “ferme le conseguenze disciplinari secondo i rispettivi ordinamenti di settore” e “con diritto alla conservazione del posto di lavoro per il lavoratore sospeso”.

Il testo del decreto legge specifica inoltre che i lavoratori fragili che hanno compiuto 50anni che non possono sottoporsi a vaccinazione per motivi di salute accertati e documentati potranno essere adibiti “a mansioni diverse, senza decurtazione della retribuzione, in modo da evitare il rischio di diffusione del contagio”.

La sanzione amministrativa, per le eventuali violazioni, è stata fissata nel pagamento di una somma compresa tra i 600 e i 1.500 euro. Il personale delegato al controllo dei dipendenti, che non ottempera a questa funzione, rischia, invece, una multa che va dai 400 a 1.000 euro.

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Persone autorizzate al trattamento, il kit di modelli per le nomine nella pubblica amministrazione

La nomina di autorizzato al trattamento dei dati è un adempimento di cruciale importanza per il titolare del trattamento. A tale riguardo la regola è la libertà di forme: è il titolare del trattamento che deve e può decidere attraverso quali modalità rendere riconoscibile che un certo soggetto è stato autorizzato al trattamento di dati personali. All’interno di questa libertà di forma, tuttavia, deve essere assicurato un risultato: poter ricostruire “chi fa che cosa”.


Anche all’interno di una determinata organizzazione non possono essere riconosciute conformi alla normativa sulla protezione dei dati personali situazioni di promiscuità.

In altri termini non è accettabile che, a fronte di plurime unità organizzative, cui solitamente corrispondono diverse base dati o cartelle di file condivisi, la nomina di autorizzato sia generica.

Un soggetto si può dire che sia autorizzato al trattamento dei dati quando si possa conoscere a quali dati o, meglio, a quale ambito di trattamento sia stato autorizzato.

Per aiutare comuni ed altri enti locali ad espletare correttamente l’onere dell’autorizzazione al trattamento dei dati personali, nell’area riservata del sito di Federprivacy è stato messo a disposizione un apposito kit completo di modelli specifici per settori.

Questa è l’idea che sta alla base delle matrici delle nomine di autorizzato al trattamento dei dati di un ente locale, ipotizzando gli uffici di un amministrazione comunale.

Al di là del riferimento a questa particolare categoria di titolare del trattamento, si valuti che l’impostazione possa essere ripetuta anche presso altre categorie di titolari del trattamento.

Ciascun modello si compone della nomina, della indicazione dell’ambito consentito di trattamento e di una scheda di profilazione.

All’interno del modello si sottolineano i collegamenti a regolamenti interni, politiche aziendali, circolari, ordini di servizio, il manuale sulla sicurezza ad uso degli autorizzati al trattamento dei dati: sono fonti che determinano la compliance e che devono essere messi a disposizione ed applicati dai soggetti autorizzati.

Sempre nel modello si è ritenuto di assicurare che il titolare del trattamento si preoccupi non solo delle istruzioni, ma anche della formazione del personale.

In particolare evidenza è innestata la clausola per cui l’esattezza della prestazione del dipendente sarà misurata anche a riguardo della osservanza delle prescrizioni in materia di privacy.

Questo giustifica l’ammonimento, secondo il quale nel caso di inadempimento si applicheranno le sanzioni disciplinari previste dal vigente contratto di lavoro.Comuni & Enti Locali – Kit modelli nomine soggetti autorizzati

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INAIL, UN VADEMECUM SULLE PUNTURE DI INSETTI

Pubblicato dal Dipartimento di medicina, epidemiologia, igiene del lavoro e ambientale (Dimeila) dell’Inail un nuovo fact sheet relativo alle infezioni trasmesse da vettori e sui pericoli per chi lavora all’aria aperta. Il testo riguarda principalmente agricoltori, forestali, giardinieri, ma può essere utile anche per tutte le altre tipologie di lavori, specie nell’avvicinarsi della bella stagione, dove è più facile essere soggetti alle punture e ai morsi di zanzare, zecche e pappataci.

Le infezioni trasmesse dagli artropodi all’uomo, tecnicamente definite ‘zoonosi vettore trasmesse’, rappresentano un problema importante all’interno della sanità pubblica. Infatti, negli ultimi anni sono progressivamente aumentati in Europa e nel nostro Paese i casi importati e autoctoni di patologie virali di origine tropicale, dovuti sia ai cambiamenti climatici che ad altri fattori naturali e antropici, come le migrazioni, le modifiche ambientali, l’espandersi dell’agricoltura intensiva, l’incremento dei viaggi e del commercio di animali.

La scheda suggerisce un approccio di tipo multidisciplinare ed integrato, qualificato scientificamente con l’espressione “One Health”: in tale locuzione sono racchiuse l’integrazione della sorveglianza veterinaria con quella umana per individuare celermente la circolazione del vettore infettivo localmente e il conseguente rischio trasmissivo sull’uomo. Diversi i piani d’azione messi in campo a livello internazionale da differenti organismi, dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) e alla sua strategia per il controllo dei vettori del 2017, al Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc) e all’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa), che hanno elaborato un progetto comune con la creazione di mappe interattive che sul web danno informazioni complete sulle malattie trasmesse dagli insetti vettori.

Tra le tante informazioni riportate, si evidenzia la tabella che segnala alcune norme comportamentali e di controllo ambientale da adottare: in particolare, tra le prime, l’utilizzo di indumenti chiari o che non lascino scoperte parti del corpo, mentre fra le seconde viene raccomandato l’uso di repellenti per insetti o l’installazione di barriere meccaniche come zanzariere o impianti di condizionamento. In appendice al testo, il fact sheet riepiloga le principali circolari fatte su alcune infezioni allarmanti e sulle misure da attuare, che sono state realizzate su fonti del Ministero e del Centro nazionale per la prevenzione delle malattie e la promozione della salute dell’Istituto superiore di sanità. Oltre a queste anche le indicazioni sulle principali zoonosi vettore trasmesse in Europa e in Italia insieme ai cenni su alcuni casi occupazionali riportati nella letteratura scientifica di riferimento.

Ricordiamo che, specie per i lavoratori che svolgono la loro attività all’aria aperta, il datore di lavoro ha l’obbligo, in conformità alle norme D.Lgs. 81/08, di tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori attraverso idonee misure di protezione e prevenzione nonché di profilassi. In particolare, segnalano i ricercatori del Dimeila, “solo per l’encefalite sono a disposizione vaccini sicuri raccomandati per contadini, per il personale militare operante in zone di pericolo infettivo, e per viaggiatori ad alto rischio diretti ad aree endemiche”.

Per ulteriori approfondimenti e per scaricare il testo:
https://www.inail.it/cs/internet/comunicazione/news-ed-eventi/news/news-punture-insetti-rischi-lavoro-2019.html

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Uso in sicurezza dei prodotti fitosanitari, volume Inail

Questo l’argomento trattato da Inail in una delle ultime pubblicazioni. Un documento particolarmente utile a chi è impegnato nel settore agricolo, che tratta i Pf, i rischi, la sicurezza, la tutela dei consumatori e dell’ambiente.

L’opuscolo è strutturato su schede informative monotematiche che affrontano la normativa di riferimento per quanto riguarda acquisto, trasporto, immagazzinamento, utilizzo, smaltimento e documentazione aziendale; la sicurezza e il Testo Unico; etichettatura; metodi alternativi da utilizzare in agricoltura.

La normativa di riferimento si avvia in Europa con la direttiva 2009/128/CE recepita dal D.lgs. n. 150/2012. Quindi il Dm 22 gennaio 2014 con il relativo Piano di azione nazionale; il citato D.lgs 81/08.

Per fitosanitari o agrofarmaci si intendono generalmente prodotti utilizzati per proteggere le piante; conservare; eliminare infestanti; influenzare la coltivazione. Sono costituiti da: sostanze attive, coformulanti e coadiuvanti. L’intossicazione può avvenire sia per inalazione, che per contatto dermico o ingestione. La valutazione dei rischi è in carico al datore di lavoro e definita dal Titolo IX del TU.

Il volume è curato dal Dipartimento innovazioni tecnologiche e sicurezza degli impianti, prodotti e insediamenti antropici, Dit Consulenza tecnica accertamento rischi e prevenzione, Contarp. Questo l’indice:

  • “Prodotti fitosanitari o agrofarmaci;
  • Il pericolo nell’uso dei prodotti fitosanitari;
  • La valutazione del rischio chimico professionale;
  • Schede tecnico-informative;
  • Documentazione aziendale;
  • Dispositivi di protezione individuale;
  • Allegato 1. Quadro normativo di sintesi sui prodotti fitosanitari;
  • Allegato 2. Guida alla lettura della etichetta e scheda dati di sicurezza (MsDs);
  • Allegato 3. L’ADR: disposizioni generali ed esenzioni;
  • Allegato 4. La difesa integrata;
  • Allegato 5. La gestione dei rifiuti;
  • Allegato 6. Glossario”.

Info: Inail, Uso in sicurezza dei prodotti fitosanitari 

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Videorveglianza, se non ci sono mutamenti all’azienda che subentra può bastare la notifica

Il mero subentro di una impresa in locali già dotati degli impianti audiovisivi o altri strumenti similari non integra di per sé profili di illegittimità qualora gli impianti stessi siano stati installati osservando le procedure (accordo sindacale o autorizzazione dell’Ispettorato) previste dall’articolo 4 della legge 300/1970 e non siano intervenuti mutamenti.

Sono tali le indicazioni fornite dall’Ispettorato nazionale del lavoro (Inl) con la lettera circolare 1881/2019 del 25 febbraio 2019, in merito a modifiche degli assetti societari per fusioni, cessioni, incorporazioni, affitto d’azienda o ramo d’azienda che determinino il cambio di titolarità dell’impresa che, in precedenza, aveva già installato gli impianti in questione.

È stato chiesto se, in tali circostanze, si renda necessario rinnovare l’autorizzazione o l’accordo, ovvero sia sufficiente che della modifica della proprietà ne sia data informazione all’Ispettorato del lavoro competente.

Appellandosi, verosimilmente, al principio della semplificazione delle procedure, l’ Ispettorato nazionale del lavoro ritiene di dover ricercare la soluzione non tanto nei profili formali legati alla titolarità dell’impresa, quanto negli aspetti sostanziali concernenti la possibile modifica delle condizioni e dei presupposti di fatto che avevano consentito la legittima installazione degli impianti. In breve, non devono essere intervenuti mutamenti delle esigenze organizzative e produttive per la sicurezza del lavoro e la tutela del patrimonio aziendale, né le modalità di funzionamento dell’impianto.

Ciò non toglie, tuttavia, che il titolare subentrante debba dare comunicazione della variazione all’Ispettorato che ha rilasciato l’autorizzazione degli impianti e attesti che, con il cambio dei titolarità, non sono mutati né i presupposti che hanno legittimato il rilascio dell’atto, né le modalità di uso.

Fonte: Il Sole 24 Ore del 25 febbraio 2019

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Licenziamento per mancata partecipazione al corso di formazione

E’ molto importante questa sentenza della Corte di Cassazione civile Sezione Lavoro in quanto si innesta come un tassello nel processo in corso in giurisprudenza sulla responsabilizzazione del lavoratore in materia di salute e sicurezza sul lavoro e sulla sostituzione nella organizzazione aziendale della sicurezza sul lavoro di un sistema di prevenzione collaborativo da parte dei lavoratori rispetto a quello iperprotettivo da parte del datore di lavoro, come è giusto che sia considerato che le disposizioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro di cui al D. Lgs. n. 81/2008 e s.m.i. hanno voluto appunto coinvolgere i lavoratori nel rispetto delle norme di sicurezza prevedendo anche per essi delle sanzioni per gli inadempienti. Il D. Lgs. n. 81/2008, in particolare, impone sì ai datori di lavoro con l’art. 18 l’obbligo sanzionato di informare, formare e addestrare i lavoratori ma impone anche ai lavoratori, con l’art. 20, l’obbligo fra gli altri, anche esso sanzionato, di partecipare ai programmi di formazione e di addestramento organizzati a loro favore dal datore di lavoro.

Non partecipare ai corsi di formazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro, si può così sintetizzare le conclusioni alle quali è pervenuta la Corte di Cassazione in questa ordinanza, costituisce per i lavoratori una giusta causa di licenziamento. La Corte suprema già in passato aveva assunto in precedenti espressioni tale posizione ma in questa occasione la stessa ha ribadito il concetto con più fermezza rigettando il ricorso di un lavoratore licenziato da una società per non avere preso parte ingiustificatamente alla formazione obbligatoria prevista dall’Accordo Stato-Regioni e per il comportamento recidivo dallo stesso tenuto con riferimento a due analoghe precedenti condotte colpite da provvedimenti sanzionatori. La stessa Corte suprema, infatti, così come aveva fatto quella territoriale, ha ritenuto sussistere da parte del lavoratore una grave violazione degli obblighi, oltre che contrattuali, di diligenza e di fedeltà e una violazione delle regole di correttezza e di buona fede tali da ledere in via definitiva il vincolo fiduciario.

Il caso, l’iter giudiziario e il ricorso in Cassazione

Il Tribunale ha rigettata la domanda proposta da un lavoratore nei confronti della società dalla quale dipendeva diretta alla declaratoria di illegittimità del licenziamento disciplinare per giusta causa intimato dalla stessa società, ai sensi e per gli effetti dell’art. 72 lett. I del vigente CCNL, a seguito di una lettera di addebito con la quale era stata contestata una assenza ingiustificata per non avere preso parte alla formazione obbligatoria prevista dall’Accordo Stato-Regioni, con contestuale contestazione della recidiva in riferimento a due analoghe condotte sanzionate con provvedimenti di natura conservativa. La sentenza di condanna è stata confermata dalla Corte di Appello per cui il lavoratore avverso la decisione della stessa ha proposto ricorso per cassazione.

Fra le varie motivazioni addotte nel ricorso il lavoratore ha messo in evidenza che la Corte di merito aveva valorizzato, ai fini della recidiva, fattispecie non contestate che avrebbero determinato la fondatezza del licenziamento e la gravità degli addebiti in violazione del principio di immodificabilità e di tipicità della contestazione nonché la violazione ed errata applicazione degli artt. 71 e 72 del CCNL Vetro per avere la Corte territoriale ritenuta, sulla base di una errata interpretazione delle suddette disposizioni, sussistente l’ipotesi di recidiva pur non essendo state irrogate, nei dodici mesi precedenti dalla contestazione disciplinare, tre sospensioni dal lavoro e dalla retribuzione.

La Corte di appello, inoltre, secondo il ricorrente, aveva affermata la legittimità del licenziamento pur non essendovi alcun documento o dato che potesse giustificare tale conclusione e non si riusciva a comprendere da quale elemento di prova la stessa Corte di merito avesse potuto trarre il suo convincimento circa la idoneità del comportamento del lavoratore a legittimare il recesso per giusta causa del datore di lavoro. Ha lamentato ancora il ricorrente che il modus operandi adottato dall’azienda era stato chiaramente in contrasto ed in conflitto con il disposto di cui all’art. 1375 c.c. che impone la buona fede nell’esecuzione del contratto.

Le decisioni della Corte di Cassazione

Il ricorso del lavoratore è stato rigettato dalla Corte di Cassazione. La stessa ha ritenuto sussistente la recidiva con riferimento ai due precedenti episodi benché non contestati e considerati quali circostanze confermative della condotta tenuta dal lavoratore avendo contribuito significativamente alla valutazione complessiva della sua gravità. L’art. 72 lett. I del CCNL Vetro (richiamato nella contestazione), ha ricordato la suprema Corte, prevede che il licenziamento per punizione è consentito, in caso di recidiva nella “medesima mancanza” di cui all’art. 71 (che contempla anche la mancata presentazione al lavoro senza giustificato motivo) nonché nelle fattispecie di cui ai punti e), f), g) e h) dello stesso art. 71, che abbiano dato luogo a tre sospensioni nei dodici mesi precedenti. Correttamente quindi la Corte territoriale ha individuata la sussistenza di una giusta causa per grave inadempimento o per un grave comportamento del lavoratore alle norme di etica o del comune vivere civile e correttamente ha ritenuta la sussistenza di una grave violazione da parte del lavoratore degli obblighi di diligenza e di fedeltà ovvero delle regole di correttezza e di buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., tale da ledere in via definitiva il vincolo fiduciario.

A seguito del rigetto, in conclusione, la Corte di Cassazione ha condannato il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che ha liquidato in euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Gerardo Porreca

Ordinanza n. 138 del 7 gennaio 2019 civile Sez. Lavoro – Pres. Bronzini – Est. Cinque – Ric. D.D.. – Non partecipare ingiustificatamente ai corsi di formazione in materia di sicurezza sul lavoro costituisce per i lavoratori una violazione degli obblighi di diligenza, di fedeltà e di correttezza e può rappresentare una giusta causa di licenziamento.

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RSPP: le responsabilità penali e civili a cui sono soggetti

Il documento – a cura di Francesco Di Mauro, Antonio Distefano, Enzo Livio Maci e Michele Scacciante – indica, infatti, che “il ruolo di professionista e l’importanza che la normativa attribuisce al servizio di prevenzione e protezione espongono il RSPP ad una pluralità di responsabilità, sia di natura civile che di natura penale”.

Riguardo alla responsabilità penale si ricorda che il D.Lgs. 81/2008 “non prevede specifiche sanzioni penali per il Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione: non vi è dunque uno specifico sistema di pene (per delitti: reclusione/multa; per contravvenzioni: arresto/ammenda) che vada a sanzionare il comportamento di un RSPP che non svolge adeguatamente il suo compito”.

Ma questo, continua il documento, non significa che il Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione“non possa incorrere in una responsabilità penale, anche per reati gravi. Il RSPP infatti risponde, insieme al datore di lavoro, per il verificarsi di un infortunio ogni qual volta questo sia oggettivamente riconducibile ad una situazione pericolosa che egli avrebbe avuto l’obbligo di conoscere e segnalare (Cass. Pen. Sez. IV 27.01.2011 n. 2814)”. E il quadro normativo attuale “prevede che il datore di lavoro sia e rimanga titolare della posizione di garanzia e, di conseguenza, il responsabile in caso di infortunio sul lavoro”.

Dunque il fatto che la normativa di settore escluda la sanzionabilità penale o amministrativa di eventuali comportamenti inosservanti dei componenti del servizio di prevenzione e protezione e quindi dello stesso RSPP, non significa che questi componenti o l’RSPP debbano ritenersi in ogni caso totalmente esonerati da qualsiasi responsabilità penale e civile derivante da attività svolte nell’ambito dell’incarico ricevuto. Infatti, occorre distinguere nettamente il piano delle responsabilità prevenzionali (di cui, in genere, non risponde penalmente il RSPP), derivanti dalla violazione di norme di puro pericolo, da quello di responsabilità per reati colposi di evento, quando cioè si siano verificati infortuni sul lavoro o tecnopatie. ( Cass. Pen. Sez. IV n. 2814 del 27 gennaio 2011)”.

A questo proposito si indica che la giurisprudenza oggi “si è attestata nel riconoscere che il RSPP non può non dirsi esonerato da un’eventuale responsabilità per colpa professionale: anzi, qualora l’errore non fosse rilevabile dal datore di lavoro, quest’ultimo, in assenza di profili di colpa, potrebbe andare persino esente da ogni responsabilità. In definitiva vi è corresponsabilità del Responsabile con il datore di lavoro per il verificarsi di un evento lesivo tutte le volte che l’inosservanza dei compiti di prevenzione attribuiti al RSPP dalla legge si configura come una delle concause dell’evento lesivo”.

E dunque, laddove il datore di lavoro non adotti una “doverosa misura di prevenzione a causa di un errato suggerimento o di una mancata segnalazione circa una situazione di rischio da parte del RSPP, che abbia agito con imperizia, imprudenza o inosservanza di leggi e discipline, quest’ultimo sarà chiamato a rispondere dell’evento dannoso derivatone, essendo l’infortunio a lui ascrivibile a titolo di colpa professionale”.

La responsabilità civile dell’RSPP

Il documento dell’ordine si sofferma poi sulle responsabilità civili. Infatti la responsabilità penale non esaurisce l’ambito delle responsabilità del RSPP “il quale, con l’assunzione dell’incarico, assume anche degli obblighi nei confronti del datore di lavoro, specie se si tratta di RSPP esterno all’azienda o comunque di RSPP interno che, per tale ruolo, riceve una specifica retribuzione”. Se dalla sua consulenza derivano danni a qualcuno, “il RSPP li deve risarcire”.

In particolare la responsabilità civile del RSPP si può classificare in due grandi famiglie:

  • la responsabilità extracontrattuale (o “da fatto illecito” o “aquiliana”): “trova fondamento in una delle norme più importanti dell’intero ordinamento giuridico che è contenuta nell’art. 2043 del Codice Civile” (qualunque fatto, doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno). Questa disposizione è il “cardine su cui si fonda la parte preponderante della responsabilità civile del RSPP”: qualsiasi azione, “sia essa cosciente e volontaria, o semplicemente non voluta ma posta in essere per negligenza, imprudenza o imperizia, se cagiona un danno a qualcuno, obbliga al risarcimento. Una consulenza errata, superficiale, negligente; il mancato rispetto quindi di uno dei compiti di cui all’art. 33 del D.Lgs. 81/08 sono tutte omissioni che, laddove diventino causa o concausa di un danno, obbligano il RSPP a risarcire di tasca propria i soggetti lesi. Si tratta insomma di una responsabilità che si rivolge a tutti i soggetti che, a causa della negligenza del RSPP possano lamentare dei danni, sia di natura patrimoniale (perdite nel patrimonio, mancato guadagno ecc.) sia di natura non patrimoniale (danni qualificati come morali, alla salute, biologici, esistenziali, alla vita di relazione, ecc.)”;
  • la responsabilità contrattuale: “l’affidamento da parte del datore di lavoro e l’accettazione da parte di un soggetto, dell’incarico di RSPP, si configura in genere come un contratto a prestazioni corrispettive in cui il nominato RSPP assume l’obbligo di svolgere i compiti propri a tale figura, a fronte di un compenso da parte del datore di lavoro”. E il RSPP, “in quanto soggetto qualificato ed adeguamento formato ed aggiornato è tenuto pertanto ad assolvere alle obbligazioni contrattuali legate al suo ruolo con la diligenza del buon professionista. Ne consegue che, laddove il RSPP non svolga con la dovuta diligenza l’incarico che gli viene affidato, il datore di lavoro che subisca un danno può contestare l’inadempimento contrattuale e, eventualmente, protestare i danni che abbia subito”.

Le conclusioni degli autori

Si segnala che la giurisprudenza più recente “ha affermato la responsabilità del RSPP per omicidio o per lesioni colpose seguendo il seguente ragionamento:

  1. L’RSPP ha il compito di individuare in azienda i potenziali pericoli per la salute e per l’incolumità dei lavoratori, di suggerire azioni volte all’eliminazione dei medesimi e di formare ed informare i lavoratori alla prevenzione;
  2. è un ‘professionista’, ha svolto corsi di formazione e di aggiornamento continuo per cui è tenuto a ‘sapere’ individuare i rischi, valutarli e prevenirli;
  3. laddove il RSPP non svolga adeguatamente il proprio ruolo di consulente ed ometta di prendere in considerazione taluni rischi, di eliminarli o di informare i lavoratori sulle modalità di prevenire incidenti e si verifichi un infortunio che può essere considerato ‘tipico’ in relazione al rischio che si è omesso di considerare, lo stesso risponde penalmente, in concorso con il datore di lavoro o autonomamente, dell’evento occorso (lesione, morte, pericolo per la pubblica incolumità, ecc.)”.

Tuttavia, in definitiva, l’RSPP andrà “esente da responsabilità qualora riesca a dimostrare:

  1. che ha diligentemente svolto i compiti a cui è chiamato, mettendo in concreto il datore di lavoro in condizione di individuare i rischi e adottare idonee misure correttive per eliminarli (in tal caso, se il datore di lavoro non segue le direttive del RSPP risponderà lui solo della mancata attuazione delle misure indicate);
  2. che l’evento si è verificato, nonostante il corretto assolvimento dei suoi obblighi, ovvero per ragioni estranee ed indipendenti dalla valutazione dei rischi da lui condotta o dalle misure da lui adottate (mancata esecuzione delle misure suggerite da parte del datore di lavoro, fatto abnorme del lavoratore, caso fortuito ecc.)”.

Rimandiamo, in conclusione, alla lettura integrale del documento dell’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Catania che riporta ulteriori dettagli sulle responsabilità degli RSPP e una vasta raccolta di sentenze della Corte di Cassazione sul tema.

RTM

Scarica il documento da cui è tratto l’articolo:

“ La responsabilità penale del Responsabile del servizio di prevenzione e protezione”, documento prodotto dalla Commissione “Qualità e Sicurezza” dell’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Catania, a cura Francesco Di Mauro, Antonio Distefano, Enzo Livio Maci e Michele Scacciante, versione 2017 (formato PDF, 1,54 MB).

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Quali sono i punti di contatto tra la BBS e la norma UNI ISO 45001:2018?

Non potevamo poi non interrogarci, nel decennale del D.Lgs. 81/2008, sul presente e sul futuro della normativa attraverso un’intervista a Paolo Pascucci (Professore di Diritto del lavoro all’Università degli Studi di Urbino Carlo Bo e presidente di Olympus, Osservatorio per il monitoraggio permanente della legislazione e giurisprudenza sulla sicurezza del lavoro).

Le novità della UNI ISO 45001:2018

Inoltre dopo uno sguardo al futuro di Ambiente Lavoro con Marilena Pavarelli (Project Manager della manifestazione), alla gestione delle emergenze con Adriano Paolo Bacchetta (www.spazioconfinato.it) e al Piano Nazionale di Prevenzione in Edilizia con Antonio Leonardi (Coordinatore del Gruppo Tecnico Interregionale SSL in materia di edilizia), non potevamo che soffermarci sulla vera novità del 2018: la norma UNI ISO 45001:2018.

Ne abbiamo parlato innanzitutto con Lucina Mercadante (Contarp, Inail), responsabile scientifica e moderatrice del seminario Inail “La UNI ISO 45001:2018”, con particolare riferimento alle conseguenze di questa norma per le aziende.

Arrivando all’intervista di oggi, abbiamo poi cercato di approfondire un altro tema correlato alla nuova norma: i punti di contatto con il Behavior Based Safety (BBS), un protocollo scientifico per la misura e la modifica dei comportamenti relativi alla sicurezza.

Ne abbiamo parlato il 17 ottobre a Bologna con l’ingegnere Riccardo Borghetto (Lisa Servizi) che ad Ambiente Lavoro era referente del seminario “Behavior Based Safety e ISO 45001: punti di contatto”.

Che cosa è il protocollo BBS?

Quali sono i punti comuni tra la BBS e la norma UNI ISO 45001:2018?

Ci sono similitudini anche in relazione alla segnalazione dei near miss?

Come sempre diamo ai nostri lettori la possibilità di ascoltare integralmente l’intervista e/o di leggerne una parziale trascrizione.

L’intervista di PuntoSicuro a Riccardo Borghetto

Prima di parlare dei punti di contatto tra il protocollo BBS e la norma UNI ISO 45001, vediamo di fare una breve introduzione su cosa sia il protocollo Behavior Based Safety…

Riccardo Borghetto: “(…) La BBS è un protocollo, quindi una sequenza di passaggi, di step, basati sulla scienza comportamentale, che se implementati correttamente permettono alle aziende di ridurre in modo estremamente efficace gli infortuni sul lavoro, mantenendo diciamo la produttività ad un alto livello. Diciamo che è un protocollo di eccellenza, che è stato implementato soprattutto da medie e grandi imprese nel mondo, che è estremamente efficace nel ridurre gli infortuni.

Il mondo della BBS è costituito oggi da un numero limitato di aziende, ma che sta crescendo (…), che hanno sviluppato questo protocollo. Si tratta di aziende che normalmente hanno svolto già tutto quello che è sicurezza obbligatoria, tradizionale. Spesso hanno già tutto a posto, hanno già implementato sistemi di gestione qualità, ambiente e sicurezza e sono alla ricerca di cos’altro si può fare per migliorare le proprie performance. La BBS risponde a questo”.

Diciamo ora qualcosa sulla norma ISO 45001 e vediamo di comprendere quali sono punti di contatto con il protocollo BBS…

R.B.: “Facciamo solo un breve flash sulla norma ISO 45001.

È uno standard mondiale normato dall’ISO sui sistemi di gestione della sicurezza. Dal punto di vista contenutistico la norma non è molto molto diversa dalla 18001, è cambiato l’indice, ci sono alcuni requisiti in più e viene dato più focus, più importanza soprattutto agli elementi di leadership e partecipazione dei lavoratori. Anzi proprio nella norma c’è un disegno grafico dove, al centro, al cuore del sistema, c’è la leadership – la spinta dall’alto che orienta tutti i comportamenti – e la partecipazione dei lavoratori.

Quando ho visto per la prima volta questa norma, occupandomi di BBS mi è sembrato che le due cose si stessero avvicinando ovvero che chi ha codificato la nuova 45001 ha dato importanza a questioni che la BBS ha sempre sottolineato (…) al proprio interno.

Riguardo al quesito sugli elementi comuni (…), tra gli elementi comuni sicuramente abbiamo dunque la leadershipe la partecipazione dei lavoratori.

Per quanto riguarda la leadership, la BBS, il protocollo di eccellenza, è scelto dall’alta direzione. La scelta della direzione è una scelta di tipo strategico. Strategico perché richiede un impegno di tempo, un investimento importante e richiede la partecipazione di tutti i livelli.

La leadership deve essere visibile, mostrarsi e, tra l’altro la parte alta dell’azienda, che nel protocollo BBS è rappresentata dal comitato direttivo, deve fare anche dei corsi di formazione. Quindi si prepara a governare, dal punto di vista comportamentale, tutti quanti livelli. La leadership ha la responsabilità del processo BBS, lo deve governare.

Per quanto riguarda poi l’aspetto della partecipazione dei lavoratori io non conosco un altro schema, un altro protocollo, dove si veda una partecipazione così diffusa.

Cerco di spiegarmi: nella BBS il motore di sistema è il processo di osservazione e feedback di lavoratori su altri lavoratori, su colleghi. Possiamo pensare al motore BBS come il motore di un’auto in cui pistoni sono gli osservatori è la frequenza con cui girano i pistoni è la frequenza di osservazione.

Nella BBS questi dati sono abbastanza alti numericamente, cioè si parla di centinaia o migliaia di osservazione in un mese. Chi le fa? Sono i lavoratori a effettuare il grosso dell’attività e normalmente partecipano volontariamente al processo della BBS. (…)

Intrinsecamente la BBS ha un elevato livello di partecipazione attiva dei lavoratori. (…)

Se parliamo del livello dei capi, il primo livello dei capi partendo dal basso, questi conducono riunioni il cui scopo è definire il miglioramento, guardano i grafici dei comportamenti e definiscono i rinforzi e stabiliscono dove e come migliorare nel tempo.

Un altro punto in comune lo si trova nell’appendice A della norma 45001, è la cooperazione e fiducia reciproca.

La BBS costruisce una cultura, un ambiente, dove la sicurezza del singolo è affidata al collega: si crea una cultura interdipendente basata sulla fiducia reciproca.

Un’altra questione, citata nella norma 45001, è la promozione della discussione aperta.

Nella BBS non si ricercano colpe, non è sanzionatoria, non si cercano i responsabili, si cercano le cause e queste emergono tramite una discussione aperta tra colleghi, dove anche i colleghi riconoscono i propri errori. Si accetta l’errore, lo sbaglio e si comprendono anche le motivazioni che portano, alle volte, le persone ad avere comportamenti a rischio. (…)

In tutti i sistemi di gestione, e anche nella 45001, viene data grande enfasi allo sviluppo delle competenze – diciamo ‘formazione’, ma viene declinata sotto forma di sviluppo delle ‘competenze’.

Nella BBS c’è tantissimo di questo. Innanzitutto gli osservatori, i lavoratori che osservano, sono formati ad osservare in maniera estremamente precisa i loro colleghi e a dare feedback. Anche i capi (…) sono formati e addirittura il gruppo di progetto – quel gruppo che progetta e governa il processo BBS (…) – fa un corso di tre giornate sulla gestione dei comportamenti.

Quindi l’azienda, l’organizzazione che fa BBS, sviluppa moltissimo le competenze dei propri collaboratori. Sia a livello line sia a livello direttivo, manageriale”.

(…)

Articolo e intervista a cura di Tiziano Menduto

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Diffamazione online, il solo cognome può non essere “individualizzante”, ma l’effetto lesivo aumenta

Pochi giorni addietro, la Corte di Cassazione con la sentenza n. 4498 depositata in cancelleria il 14 febbraio 2019, ha ribaltato il principio ormai consolidato per cui, in tema di diffamazione a mezzo stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, è configurabile il reato anche in assenza di esplicite indicazioni nominative e quando i soggetti siano individuabili tramite riferimenti alle attività svolte.

La posizione assunta di recente dagli Ermellini, si basa sul fatto che l’offesa della reputazione necessaria ad integrare l’illecito diffamatorio, presuppone l’individuazione del diffamato sulla base di elementi che siano oggettivamente tali da far confluire il fatto offensivo su un determinato soggetto, sicché conferma il principio secondo cui “l’indicazione del solo cognome non è, di norma, sufficiente ove non sia munita di immediata attitudine individualizzante” (Cass. N.21424/2014).

Secondo il Collegio, infatti, nonostante per la Corte d’Appello i dati diffusi erano tali “nella loro specificità”, ad esprimere “immediata attitudine individualizzante”, la motivazione è risultata infine apparente ed escludente l’identificabilità del soggetto.

In tal senso, in ossequio all’ermeneutica nomofilattica, la Suprema Corte ha accolto il primo motivo (il secondo riguardo l’attitudine individualizzante assorbito ed il terzo e quarto dichiarati inammissibili) della Corte di Appello di Catania, che aveva accolto il gravame avverso la decisione del Tribunale della medesima Città, il quale aveva rigettato la domanda di risarcimento danni derivanti dalla lesione del diritto all’immagine, all’identità personale, all’onore e alla reputazione cagionata dalla società convenuta a seguito alla divulgazione di notizie false sulla personalità di due soggetti.

Per essere ancora più precisi ed andando a fondo del contorto caso in esame, le questioni costituenti oggetto dei motivi di ricorso per Cassazione, espressamente dichiarati assorbiti, debbono ritenersi, per definizione, non decise e possono essere, quindi, riproposte del tutto impregiudicate all’esame del giudice di rinvio.

In sostanza, fornire dati identificativi di una persona come l’età, i plurimi precedenti penali ed il suo soggiorno in una determinata città, non rappresenta “la sussistenza del requisito dell’identificabilità della persona diffamata, necessario per la configurazione dell’illecito diffamatorio”.

In questo specifico e complesso caso però, importantissimo è stato per gli Ermellini, il non dare affatto contezza, in modo intelligibile e congruente da parte della Corte territoriale, di come e perché gli errori del comunicato (contenente precise notizie non veritiere a carico della vittima successivamente smentite), non fossero idonei ad escludere l’identificabilità del soggetto con la vittima.

A tal proposito, la Corte si è espressa altre volte riguardo tale delicata materia, sulla base del rispetto dei requisiti di veridicità e continenza della forma espressiva in cui essi sono riportati, nonché l’essenzialità dell’informazione.

La diffusione del comunicato, infatti, ha sicuramente aumentato l’effetto lesivo dell’onorabilità della vittima, ampliando la platea di soggetti che sono venuti a conoscenza dei fatti e in grado di individuarne l’asserito autore, che, anche se successivamente smentite, hanno comunque creato un danno, (infatti il primo motivo di ricorso è risultato manifestamente fondato) ma non sufficiente per configurare l’illecito diffamatorio per i motivi già largamente su riportati.

Infatti, a tal proposito, molti sono i giudici che (si pensi al Tribunale di Catania nel caso in esame) non si accodano al consolidato orientamento basato sui requisiti di veridicità, pertinenza e continenza precisando che nel caso di offesa generica non c’è reato.

Pertanto, bypassando anche le altre deduzioni e tesi difensive che i giudici hanno in parte convalidato, il reato di diffamazione può dirsi integrato qualora venga lesa la reputazione di un soggetto che, indipendentemente dalla sua indicazione nominativa, sia immediatamente individuabile; causando però, secondo alcuni orientamenti ed in questi casi, l’ennesima lacerazione nella sfera del diritto alla privacy dei soggetti coinvolti.Cassazione Sentenza 4498/2019

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